E’ un errore trattare i rifiuti organici in un solo impianto anaerobico sulla costa

E’ un errore trattare i rifiuti organici in un solo impianto anaerobico sulla costa. Si parla da tempo del digestore anaerobico da realizzare per il trattamento dei rifiuti organici nell’area fanese, ed uno degli elementi di maggiore discussione sta nelle dimensioni dell’impianto che Aset prevede di 60.000 tonnellate/anno, taglia ritenuta indispensabile per remunerare l’investimento, che supererebbe  l’intero fabbisogno provinciale. Il fatto stesso che la tecnologia individuata (unica) abbia questo limite, denuncia l’errore eseguito nella sua scelta. Se si è costretti a produrre rifiuti per poter far lavorare l’impianto già si parte con il piede sbagliato, si pensi al fatto che se si limitassero gli sprechi alimentari si produrrebbe oltre il 30% in meno di rifiuto organico, e le dimensioni dell’impianto non rispecchierebbero più le necessità del bacino di utenza. Per poter ammortizzare l’investimento si potrebbe giungere all’assurdo che un comportamento virtuoso (evitare sprechi alimentari) venga disincentivato affinché il gestore possa produrre utili dall’impianto realizzato. Se non ci fossero i lauti incentivi statali per la produzione del biogas, la soglia di remunerazione del digestore scenderebbe ulteriormente e si rischierebbe, nel medio termine, di ripercorrere gli errori fatti con gli inceneritori del nord Italia, che attualmente non hanno più la quantità necessaria di rifiuti per lavorare all’interno del proprio bacino di utenza per i quali sono stati progettati, ed i gestori sono alla ricerca di rifiuti da fuori ambito di competenza. Ormai è chiara l’indicazione di addentrarci verso un’economia circolare sempre più concreta, che preveda la minimizzazione della produzione di rifiuti, e la realizzazione di un impianto di tali dimensioni e che utilizzi tale tecnologia, introdurrebbe un elemento di rigidità al sistema, invece di aiutarlo ad evolversi. Infine non c’è certo da prendere per “oro colato” le affermazioni dei gestori nostrani, che fino a ieri invocavano la necessità di ampiamento delle discariche (che hanno ottenuto anche contro la volontà dei cittadini) e che ora cercano in tutta fretta di riempire con rifiuti speciali provenienti da ogni dove, poiché i rifiuti urbani sono ormai (fortunatamente) insufficienti a remunerare appunto gli incauti investimenti.

La tecnologia aerobica invece è estremamente modulabile sul numero di utenza servita e molto più semplice da applicare.

ASET e Marche Multiservizi, se volessero agire con rigore da un punto di vista tecnico, produrrebbero uno studio di fattibilità comparato tra le varie tecnologie disponibili e le varie taglie impiantistiche realizzabili per trovare il mix migliore, come da me suggerito già da mesi.

La divisione delle AATO perimetrata sulle province è una forzatura amministrativa che non ottimizza gli ambiti territoriali, e l’autarchia nella gestione dei rifiuti è derogata da anni, infatti è giustamente necessaria l’ottimizzazione (spesso forzata dalla scarsità di impiantistica) nell’utilizzo degli impianti/discariche esistenti, con migrazione dei rifiuti non solo tra province (quindi tra AATO) ma anche tra regioni (vedi pellegrinaggio dei rifiuti della nostra provincia in Emilia-Romagna da parte di Marche Multiservizi negli impianti Hera). Il piano regionale di gestione dei rifiuti inoltre chiede il coordinamento delle AATO ed in prospettiva ne prevede la fusione in una unica regionale. Anche i piani d’ambito che le AATA stanno redigendo prevedono sinergie impiantistiche inter-AATA. Quindi la dimensione minima per rendere remunerativo un impianto può essere calcolata disegnando il bacino d’utenza necessario lungo-costa (dove la densità abitativa scoraggia l’applicazione della tecnologia aerobica perché produce cattivi odori), travalicando i confini provinciali. In ogni caso in Europa sono esistenti numerosi impianti di taglia inferiore ai 20.000 t/a, inoltre l’APAT ha prodotto linee guida che considerano impianti anche da 15.000 t/a al servizio di 100.000 abitanti, ed infine in bibliografia si rinviene che la taglia di 30.000 t/a assicuri comunque la piena remuneratività.

I piccoli impianti aerobici posso essere gestiti da chiunque (AATA, Comuni singoli o aggregati, privati), esiste già una dettagliata normativa di riferimento che disciplina il settore a cui la mia proposta di legge (PdL 222/18) fa esplicito riferimento. Nelle altre regioni ove il compostaggio di comunità, o di prossimità, è già una realtà diffusa, non sono stati riscontrati particolari problemi applicativi. Gli impianti non presentano una soglia minima di remunerazione dell’investimento essendo realizzati di dimensioni idonee a soddisfare le utenze servite (da poche decine e qualche migliaio). La conduzione dell’impianto è semplice. I cittadini finanziano l’intero settore con la TARI quindi il problema di “chi paga” è da sempre risolto. Nel testo della proposta di legge la regione sosterrà AATA e Comuni e individuerà anche fondi dal PSR per coinvolgere gli agricoltori.

Ecco un paio di articoli dove sostengo la necessità di un mix tecnologico e dimensionale degli impianti, in barba alla volontà dei gestori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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